L’ignoranza genera illegalità.
Non scopro nulla di nuovo. Eppure viviamo in un Paese che taglia fondi alla
cultura come se essa fosse qualcosa di aberrante, diabolico. L’accesso alle
Università è diventato un lusso per pochi, se si considera il peso che hanno sulle
nostre tasche le tasse d'iscrizione e i libri di testo. Le biblioteche pubbliche chiudono
per mancanza di personale (non si possono pagare gli stipendi), per mancanza di
materia prima (non si possono comprare libri), per mancanza di strutture (non
si possono pagare gli affitti). Le librerie languiscono perché lettori affamati
vagano tra gli scaffali annusando l’odore della carta ed escono sempre più spesso a mani vuote
perché i libri, si sa, costano. Che fare?
La mancanza di cultura ha
generato mostri in passato come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, figlie di
quell’assenza di conoscenza che ha potuto irretire intere popolazioni abituate
ad ascoltare solo le voci più “urlanti”, qualunque fosse il megafono utilizzato
(anche i fucili, si…) e come le dittature, di destra o di sinistra poco
importa, che hanno avuto facile presa su coscienze addormentate, o meglio
ancora, comatose. Ma noi, che questo lo
sappiamo bene, continuiamo a permettere che la cultura sia vista come un di
più, un bene non necessario, un ornamento vintage per pochi nostalgici.
I Greci sapevano insegnare. I
“Maestri” riunivano intorno a se allievi vogliosi e affamati di conoscenza e trasmettevano il loro sapere.
“Trasmettevano”, che magica parola. Si perché troppo spesso capita di assistere
a lezioni nelle nostre scuole dove professori stressati, incancreniti
dall’oblio del nulla e privati di desiderio e passione, assolvono il loro
compito elargendo fiumi di nozioni senza alcun vago senso di costrutto.
Insegnare è un’arte, ma nessuno spiega loro come si fa. E tutti quegli
uccellini con i becchi aperti che attendono di nutrirsi di chissà quale
prelibatezza si devono accontentare della stessa minestra riscaldata. Ci sono
le eccezioni, per fortuna, che lottano per istruire, per servire un banchetto alla
festa delle menti, ma sono pochi e troppo spesso vanno via…
Investire nella cultura non può
essere un optional. In questo mondo dove le distanze ormai non rappresentano
più un limite non possiamo limitarci ad annusare la vita che c’è dietro ogni
pensiero, ogni parola scritta e detta. Io, che ogni volta che entro in una
libreria, in una biblioteca, ho la sensazione di entrare in un tempio sacro, mi
stupisco ancora dell’inettitudine e della miopia di chi ci governa. E se il
web, i social network possono essere utili, allora usiamoli per far si che la
cultura non muoia. Abbiamo imparato ad esprimerci in 140 caratteri e sappiamo
cosa è un hashtag. “Culturaèbello” sono solo 13 lettere, ci stanno tutte in un
tweet.
Sed
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