Sono una narratrice compulsiva. Nel senso che devo scrivere ogni
qualvolta ne sento la necessità, e questa necessita' e' ormai diventato
un bisogno impellente. Ma ho detto narratrice, il che vuol dire che
racconto storie. Mi sono chiesta se il mio scopo fosse solo quello di
raccontarle oppure anche quello di dire qualcosa, lasciare un messaggio,
tracciare un solco tematico di pensiero ripercorribile anche in senso
inverso, magari in un futuro remoto. Eh, che cosa complicata ho scritto.
In pratica e' ciò che hanno fatto i letterati che abbiamo studiato più o
meno tutti sui banchi di scuola. Leopardi, Verga, Montale, per citarne
alcuni, hanno seguito il loro pensiero, hanno espresso la loro
personalissima visione del mondo, della vita, della storia, e per questo
noi li ricordiamo, li studiamo. Loro hanno lasciato una traccia perenne
di se, e per questo sono stati definiti letterati. O forse all'inizio erano
anch'essi narratori? Cosa o chi definisce la differenza? Forse i
lettori.
Io, quando mi trovo davanti un foglio bianco, comincio a raccontare. Non
so dove mi porterà la storia, ne se ci sara' una morale, un significato
più o meno recondito, un pensiero illuminante. Ascolto i personaggi e
li faccio parlare, la trama me la dettano loro, io scelgo il linguaggio.
Alla fine, solo alla fine riesco a capire "dove" la storia voleva
andare a parare. Finche' la narro mi lascio solo trasportare. E poiché
non e' come a scuola, quando ti davano un tema e tu lo svolgevi con un
inizio, un corpo e un finale, ma il titolo te lo dava qualcuno lì pronto
a giudicare, poiché non e' un articolo di cronaca dove si pesca dalla
realtà cercando di darle un senso accettabile per tutti, ma qui si
tratta del lavoro di mente e cuore nell'attimo sublime in cui si
esprimono all'unisono, liberi da vincoli di sorta, allora la storia che
si narra un senso ce l'ha, ed e' quello personalissimo di chi la scrive.
Forse allora anche i narratori fanno letteratura, se a guidare la loro
mano e' un profondo sentire e il linguaggio che si utilizza non e' altro
che lo strumento che li fa individuare, che li rende riconoscibili. Eccola
un'altra differenza, quella che il lettore coglie. Lo stile e' come la
"classe", o ce l'hai o non ce l'hai. Si riconoscono subito i
mesterianti. Lo stile e' unico e prezioso, e' il biglietto da visita del
talento, e non s'impara. E allora saranno i posteri a stabilire quando
un narratore diventa un letterato ma, se manca il talento, lo scrittore
non esiste. Io, che sono una narratrice compulsiva, continuo a scrivere storie, le affido
al vostro giudizio di lettori e umilmente ringrazio e attendo.
Sed
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