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Il treno ha sempre avuto la
capacità di suscitare in me emozioni contrastanti. Mia madre mi racconta quando
da bambina, sfollata in campagna per la guerra, percorreva chilometri di
sentieri impervi col fratello maggiore per arrivare fino al mare, all’alba, e
vederlo passare. E quando si fermava a quella piccola stazione in mezzo al
nulla era tutto un turbinio di scambi commerciali e di notizie, di fretta, con
l’urgenza di sapere e concludere prima che il macchinista fischiasse che era
ora di rimettersi in viaggio. E i due bambini restavano lì, a vederlo andar via
sferragliando, con la sensazione che in quel treno fosse racchiuso il segreto
del loro futuro incerto. Anni dopo ne avrebbero preso uno che li avrebbe
portati verso il loro destino da adulti, ma in quel momento i loro sogni
piccoli volavano sulle ali di una fantasia libera e sfrenata.
Io ne ho presi e ne ho visti di
treni. Quello che mi riportava a casa per le vacanze durante gli studi
universitari era il più bello, e non per la destinazione, ma per il percorso.
Si viaggiava di notte e, a volte, ci volevano dodici ora per andare da Roma
fino a Cirò, ma erano ore d’avventura e silenzi, ore di chiacchiere sottovoce e
d’incontri, quegli incontri tra sconosciuti dove le anime e i cuori si aprono,
tanto è solo per quella volta, e poi chissà…Che è quello che succede nella vita
poi, un viaggio che per un breve o lungo tratto facciamo in compagnia,
regalandoci emozioni libere da impegni e per questo più vere. Almeno così
dovrebbe essere.
Ho visto un treno a Cuba, nella
regione di Santa Clara, fermo in mezzo al nulla dai tempi della Revolution. Lo
fermò Che Guevara e da allora sta lì, a testimoniare eventi che hanno cambiato
il corso della storia e della vita di un intero Paese. Non riesco a guardarlo
più di tanto quando ci vado, non riesco a salirci come fanno tutti quei turisti
pseudo giapponesi armati di macchina fotografica, per fotografare cosa poi. C’è
odore di morte là dentro, c’è ancora il colore e il rumore violento della
battaglia. Ci vuole rispetto.
Treno a Santa Clara. Immagine presa da qui |
Poi ricordo mio padre. L’unica
volta in cui mi diede un consiglio per la mia vita lo fece dicendomi: “ Questo
treno potrebbe non passare più. Se per te è quello giusto, prendilo al volo e
vedi dove ti porta, non chiedertelo prima, che rischi di perderlo.” E questo è
ciò che mi dico ogni volta che mi trovo davanti a una scelta. Poi decido che,
comunque sia, il viaggio vale sempre la pena.
I treni di oggi vanno veloci. I
paesaggi li vedi sfrecciare via dal finestrino, macchie confuse di colore dove
non distingui il cielo dal mare a volte, arcobaleni sfocati come se un bimbo
dispettoso ci avesse messo sopra le dita pasticciandoci un po’. Nel silenzio
ovattato di vagoni che odorano sempre di sigaretta, anche se non si può fumare,
le persone neppure si guardano. Quasi tutti col loro netbook, IPad, tablet,
IPhone a conversare con un mondo lontano mentre magari il mondo vicino, che è
lì, sul sedile accanto, ne avrebbe di cose da raccontare, scambi di storie e di
emozioni irripetibili, un’occasione unica di arricchimento che si perde, per
sempre. A volte dimentichiamo che la vita è fatta anche di questo, cogliere al
volo momenti leggeri e lasciar fuori le pene e gli affanni di ogni giorno,
quelli che rendono indelebile il solco profondo che abbiamo sulla fronte, sopra
il naso. Su un treno si potrebbe, se andasse più piano, se ci concedesse più
tempo, quello di una volta. O forse siamo noi che dobbiamo concedercelo questo
tempo.
Ho letto da poco un romanzo
bellissimo, dove il succo alla fine è questo. La vita che ci sottrae ogni
giorno un po’ del nostro sentire più lieve, appesantendolo con la quotidianità
ostile, anche crudele, dolorosa, può essere ricondotta ad una più vera e
terrena umanità se ci riappropriamo dei discorsi sussurrati e leggeri, come
quelli dei treni. Il romanzo è Lo splendore dei discorsi e l’autore è GiuseppeAloe. L’editore illuminato è Giulio Perrone Editore e io li ringrazio.
Sed
davvero ricche di suggestioni le tue parole, Cetta. E' un po' la lieve melanconia dei ricordi e del tempo perduto, quello di quando si misurava e si viveva in modo più vero.
RispondiEliminaAnche io amo i lunghi viaggi in treno, seppure connotati dalla sottile linea della tristezza,sono sempre un atto abbandonico, una separazione, un distacco.
Con simpatia, Flami