Io non mi occupo spesso di
recensioni, pur essendo una lettrice e una scrittrice. Trovo sempre difficile
commentare ciò che qualcuno ha scritto in onestà e sincerità, anche se
partecipo a salotti letterari, dibattiti sui social e presentazioni di nuove
opere. Perché a volte mi è difficile trovarli quei due attributi indispensabili
per me, e allora mi defilo, oppure non leggo, tutto qui. Ma di recente ho
scoperto (meglio tardi che mai dirà qualcuno…) Giuseppe Aloe, finalista per l’edizione
2012 del Premio Strega con La logica del desiderio (Giulio Perrone Editore) e l’ho
scoperto attraverso la lettura di un suo libro precedente: “Lo splendore dei
discorsi”.
Voglio cominciare col dire che
non racconterò il romanzo, lascio il piacere di scoprirlo al lettore. Voglio raccontare
cosa mi ha trasmesso, citandone solo alcune tematiche, è inevitabile.
Aloe affronta il dolore, quello
di una perdita, da un punto di vista nuovo, quello della “schadenfreude” pulsione
verso il male altrui. Quindi non rassegnazione, non rabbia, non disperazione,
ma una reazione che segue l’istinto umano più profondo, e per questo più vero.
Quando ci sentiamo responsabili del nostro dolore, non lo possiamo accettare. La pulsione verso
il male è come una condivisione. Io soffro ma non sono colpevole, quindi devo
condividere questa sofferenza, devo vederla riflessa in qualcun'altro. Una
sorta di esorcismo. E per questo il protagonista diventa un killer. Ma non c'è
superficialità nel suo uccidere, non c'è freddezza. Solo lo stupore
dell'accorgersi che concentrarsi sulla costruzione di un omicidio lo può
distrarre.
Ora, il racconto scorre fluido,
leggero, quasi che il linguaggio intenzionalmente “aereo”, come lo definisce
Cappelli, serva a togliere peso alle vicende narrate, che di peso ne hanno,
eccome. L’uso superbo del dialogo
indiretto e diretto rende tutto più distante, come se Aloe volesse farci
percepire, attraverso lo stile narrativo, quello stesso mondo ovattato del
protagonista, un’atmosfera velata attraverso la quale sbirciare le altrui
nefandezze, per non riconoscerci, per non ritrovarci. Ma ci sono, convivono in
noi, assieme al bene c’è sempre la sua antitesi, anima bianca e anima nera che,
per un’improvvisa mancanza del cuore possono sovrapporsi e annullarsi,
lasciando emergere le pulsioni, distorsioni della melodia che però è là, c’è
sempre, pronta a riemergere.
E a farla riemergere è lo
splendore dei discorsi leggeri, quelle chiacchiere amene che a volte non hanno
uno scopo, un perché, ma che sono senz’altro la testimonianza di un’umanità
semplice e viva, presente. E sono quei discorsi che riportano il protagonista a
una realtà armoniosa, che rappresentano per lui la risposta all’angosciante
perché del suo destino ormai compiuto. I
discorsi che si fanno in treno (si facevano), tra sconosciuti, come racconto in
un mio recente articolo qui, o quelli delle sale d’aspetto. Il
chiacchiericcio degli anziani ai
giardinetti durante una partita a carte, o quelli di una signora gentile che ci
prende per mano, ci fa accomodare e ci offre un caffè. Pause, momenti colorati,
luminosi appunto, che possono rischiarare il buio che avvolge un’anima perduta
nel suo lato oscuro.
Aloe mi ha commossa con questo
libro, e so che continuerà a farlo, perché ha un linguaggio speciale, senza “fronzoli”,
che arriva diretto al cuore e non ne esce, non lo lascia più.
Lo splendore dei discorsi - Romanzo
Autore: Giuseppe Aloe
Editore: Giulio Perrone Editore
Pubblicazione: Giugno 2010
Prezzo: € 15,00
ISBN: 978-88-6004-159-3
Sed
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